I capponi di Renzo

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Renzo, venuto a sapere del perché don Abbondio non lo ha voluto sposare con Lucia, dietro consiglio di Agnese, si reca dal dottor Azzeccagarbugli per sapere come avere giustizia in tal frangente. E da personaggi del calibro del dottor Azzeccagarbugli non ci si può recare a mani vuote.

(…) e Agnese, superba d’averlo dato (il consiglio di consultare l’avvocato Azzegarbugli), levò, a una a una, le povere bestie dalla stìa (quattro capponi), riunì le loro otto gambe, come se facesse un mazzetto di fiori, le avvolse e le strinse con uno spago, e le consegnò in mano a Renzo (…)

Lascio poi pensare al lettore, come dovessero stare in viaggio quelle povere bestie, così legate e tenute per le zampe, a capo all’in giù, nella mano d’un uomo il quale, agitato da tante passioni, accompagnava col gesto i pensieri che gli passavano a tumulto per la mente. Ora stendeva il braccio per collera, ora l’alzava per disperazione, ora lo dibatteva in aria, come per minaccia, e, in tutti i modi, dava loro di fiere scosse, e faceva balzare quelle quattro teste spenzolate; le quali intanto s’ingegnavano a beccarsi l’una con l’altra, come accade troppo sovente tra compagni di sventura.

In questo breve brano, il Manzoni ha disegnato metaforicamente la condizione umana sulla Terra: noi capponi capitati su questo “atomo opaco del male” neppure sappiamo come e perché, invece di ingegnarci tutti a vivere nel miglior modo possibile, aiutandoci l’uno con l’altro, come quei compagni di sventura che siamo tutti, invece di cercare insieme di far fronte alle “fiere scosse” che il caso o il destino o chi per esso ci dà, continuiamo a beccarci a vicenda fin dai primordi della vita umana. La stupidità dell’uomo a livello di quella di quattro capponi!

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American way of life

Uno dei primi raccontini

Un sole scialbo si accingeva a tramontare là, dietro le cime dei Monti Appalachi.

Jack aprì la sesta lattina di birra e la trangugiò quasi in un sorso. Si pulì la bocca col dorso della mano destra. Era mancino.

«Ehi, George. Sai cosa penso?»

«Jack, come faccio a indovinare i tuoi fottutissimi pensieri?»

«Penso che un giorno dovremmo potare la maledetta siepe del giardino di Matt.»

Finì di scolarsi la lattina di birra, la stritolò come fosse di carta, la appallottolò e con un tiro preciso, centrò il bidone dei rifiuti. La lattina andò a raggiungere le altre cinque che erano state testé stritolate, appallottolate e lanciate nel bidone dei rifiuti.

«Tu credi che glielo dobbiamo?»

«Sì, George. Credo proprio che glielo dobbiamo.»

George si versò whisky on the rocks e:

«Il figlio di Matt è un maledetto figlio di puttana e vive in Canada, Jack» disse.

«È vero, George. Il giovane Ed è un fottutissimo bastardo. Non meriterebbe che potassimo quella stramaledetta siepe al padre. Ma a Matt lo dobbiamo. Matt è un vero cazzuto. Non dimenticare che nella eroica Seconda Guerra Mondiale ha salvato il soldato Ryan. Ma c’è di più. Quando da giovane giocava nella Tennessee Yankee Tigers Baseball Dream Team, con la sua cazzutissima mazza ribatté un colpo mandando quella figlia di puttana di una ball ad infilarsi nel buco dell’ozono.»

«Sì, Jack. Ma tu dimentichi che il soldato Ryan era un fottutissimo coglione e al ritorno dalla Guerra diventò anche un bastardo drogato e frocio. La ball che Matt lanciò nel buco del culo dell’ozono, tornò a terra che era radioattiva, quella figlia di puttana.»

«Ma di questo tu non puoi fare una colpa a Matt. Lui non poteva certo prevedere queste catastrofi. No, George. Io sono sempre maledettissimamente convinto che quella siepe noi gliela dobbiamo potare. È l’America che glielo deve. Lo vuole lo zio Sam.

Dalla vicina caserma degli U.S.Yankee Brave Rufflers Yellow Rangers vennero le note dell’Inno Nazionale per l’ammainabandiera. Jack e George scattarono in piedi dalle loro sedie a dondolo all’unisono. George si portò la mano destra al cuore e Jack la sinistra, perchè era mancino. Il sole rimase sugli attenti sulla cima più alta degli Appalachi. Stettero così tutti e tre, compunti il viso di amor patrio, e quando le ultime note dell’inno si spensero, Jack e George tornarono seduti sulle loro sedie a dondolo e il sole scomparve dietro le cime dei monti.

«E che ne dici di quella vacca della figlia di Matt che fa la prostituta a Boston, Jack?»

«Merda! George, tu cerchi la lite, allora! Daisy non è figlia di Matt, è figlia di puttana. Quella vacca troia di Margareth, la moglie di Matt, la ebbe facendosi sbattere da quel coglione di Bergson, il poliziotto di quartiere della 27a Avenue.»

«Sì, Jack. Ma Matt la riconobbe come figlia sua. E Daisy a 15 anni tentò di uccidere quella siepe che tu vuoi potare, versando acqua bollente sulle radici.»

«E per questo Dio l’ha punita.»

«Jack, io non credo in Dio.»

«George, in God we trust.»

«Io, no. E perciò, quella fottutissima siepe che se la poti lui, quel vecchio scoglionato di Matt!»

«George, questo non fa onore a quel grado di sergente degli U.S. Yankee Yellow Marines Lancers del 7° Distaccamento Sud Dakota che tu hai rivestito, né alla Princetown University del Kentucky da dove sei stato buttato fuori con onore, né alla Yankee Basket Yellow Lions Team dell’Ohio di cui eri l’insostituibile pivot di un metro e cinquanta, né alla Cellula “Martin Luther King” del Ku Klux Klan di Atlanta di cui sei stato uno dei principali ideologi.»

«Ah, bei tempi, quelli, Jack! Non mi ci far pensare. Ricordo quando bruciammo vivo quel negro Footstrong del quartiere ghetto di Jacksonville. Lo accusammo di aver stuprato Queen, la cagnetta degli Smithson. Il processo durò ben 12 secondi. E come urlava mentre le fiamme divoravano la sua merdosa carne di negro. Dopo averlo ben bene abbrustolito, lo impiccammo. Così appeso, la carne, ben cotta, gli scivolava dalle ossa e finiva in bocca agli sciacalli e agli avvoltoi radunati sotto l’albero, in attesa del loro pasto, povere bestie. Ah, quello fu un giorno che non dimenticherò, Jack, vivessi altri mille fottutissimi anni! Sai, Jack. Adesso sto per svelarti un segreto che pochi conoscono, oltre me. Giurami che terrai chiusa quella tua fottutissima boccaccia, Jack.»

«Cristo! George, tu sai che di me puoi fidarti.»

«Queen non era una cagnetta: era un fottutissimo coccodrillo dei venticinque che gli Smithson allevavano nello stagno del loro cottage nel Minnesota. E il vecchio negro Footstrong, quello che lo stuprò e che noi bruciammo vivo e poi impiccammo, non era un negro e non era Footstrong: era Ciu En Vai, un muso giallo di cinese di Chinatown che non aveva voluto pagare il pizzo alla Famiglia di Johnny Cataratta. Lo dipingemmo di nero con l’olio del motore della sua Pallard Swinson Coupè del 1956. Quando gli demmo fuoco friggeva come un pezzo di lardo nella padella dei nostri gloriosi Pioneers Cowboys in marcia verso il lontano West.

«George, sei un cazzutissimo figlio di puttana. Io l’ho sempre detto: chi, George Vaccaboyer? è il più cazzuto figlio di puttana della West Coast! Però, George, a Matt lo dobbiamo. Vedi, George. Se un giorno non potiamo la siepe del vecchio Matt, io comincerò a non dormire più come un angioletto, la notte. Eh, lo so, George. Io mi conosco. Comincerei, la notte, a fare brutti sogni, George.»

«In questo caso, Jack, potresti andare da uno strizzacervelli. Il doc Freudman è uno strizzacervelli di quelli cazzuti. Ha rimesso in sesto quella testa balorda di Greg il visionario. Pensa che Greg voleva mangiare la Statua della Libertà perchè diceva che era di fottutissimo marzapane e che l’aveva preparata per lui la sua mummy. Dopo otto anni di cura del doc Freudman ha capito che la Statua della Libertà non era di fottutissimo marzapane e non l’aveva preparata per lui la sua mummy. Si è accontentato di mangiare solo un moai dell’Isola di Pasqua. Un bel risultato, non trovi, Jack?»

«Un cazzosissimo bel risultato, George. Ma la siepe di Matt la dobbiamo potare, uno di questi giorni. Anzi, sai che ti dico, George? Quella stramaledetta siepe la potiamo proprio adesso; perciò, tu, ora alzi il tuo culo rinsecchito da quella tua fottuta sedia a dondolo e vai in garage a prendere le fottutissime cesoie dal manico rosso. In un quarto d’ora la siepe del giardino di Matt farà la sua porca figuraccia di siepe potata, George.»

«Jack, tra poco sarà buio: io non me la sento di potare una siepe al buio. E se dovessimo potare qualche ramo che non va potato? E poi, io non sono proprio convinto che la siepe di Matt la dobbiamo potare noi. Secondo me, dovrebbe pensarci Sonny, il figlio minore di Matt, che abita in Florida.»

«George, tu dimentichi che Sonny ha perso entrambe le braccia nella trionfale Guerra del Golfo. Sonny ha meritato la medaglia d’oro, per questo, George. Noi siamo i vicini più vicini di Matt e tocca a noi potargli la siepe. Un vero americano, George, la pensa così, o non è un vero americano, io dico.»

«Sai, Jack, io non sapevo che Sonny avesse perso entrambe le braccia nella gloriosa Guerra del Golfo. Giuro che non lo sapevo. È un vero onore avere come amico Matt, il padre di un eroe di Guerra, medaglia d’oro. Egli ha donato le braccia del figlio alla Patria. Noi perciò, adesso poteremo la siepe del vecchio Matt, Jack. Ci puoi contare.»

«Aspetta, George. Tu davvero non sapevi che Sonny ha perso entrambe le braccia in Guerra?»

«Mi dovrebbe scoppiare una palla in mano mentre mi faccio il bidet se lo sapevo, Jack. E dunque alza il tuo culo di ricotta dalla sedia e andiamo a potare la siepe del giardino di Matt.»

«George, vedi. Io mi conosco. Non dormirei come un angioletto la notte se non dicessi al mio migliore amico come stanno veramente le cose, riguardo alle braccia che Sonny ha perduto nella vittoriosa Guerra del Golfo. Se non ti dicessi la verità, George, farei brutti sogni la notte, sogni fottutissimamente brutti, dai quali neanche il cazzuto doc Freudman potrebbe liberarmi.»

«E allora vuota il sacco, Jack. Com’è che stanno veramente le cose con le braccia che Sonny ha perso nell’eroica Guerra del Golfo?

«In realtà, George, Sonny le ha perse mentre godeva di una breve licenza dal servizio.»

«Jack, in nome di tutti i Padri Pellegrini, del Thanksgiving Day e della portaerei Forrestal, spiegami come si fa a perdere entrambe le braccia in licenza ed avere la medaglia d’oro come eroe di Guerra!

«C’è di mezzo la Famiglia del boss Johnny Cataratta, l’ispettore Callaghan della F.B.I. il giudice Alex K. Badlaw e lo sceriffo della contea di Norton. Quella congrega di bravi ragazzi era tutta sul libro paga del boss.»

«Tutta questa cazzutissima congrega di bravi ragazzi si è mossa per dare a Sonny la medaglia d’oro al valor militare? Ah, una buona azione da autentici Yankees, non c’è che dire.»

«Devo aver dimenticato qualche vice segretario aggiunto della Casa Bianca. Sai, Sonny stava eseguendo un lavoretto per il boss Cataratta: doveva lanciare un convincente petardo nello store di don Michael Corleone. Gli è scoppiato tra le mani un attimo prima del lancio e si è fottuto le braccia di Sonny. Un testimone oculare, che poi finì con gli scarponi di cemento nel mare a sud di Norfolk, pare abbia detto che il botto fu così violento che Michael esclamò: ” Minchia! cu fu?” e il braccio destro di Michael, Tony Esposito abbia risposto “Chisto è ‘o pallone ‘e Maradona”.»

«Ah, George. Come fai a non essere grato a Dio per averti fatto nascere in questo cazzuto Paese, dove il potere prende a cuore la sorte di un Sonny qualunque in questo modo?»

«Jack, credo proprio che, domattina all’alba, ti verrò a svegliare per andare insieme a te a potare la fottuta siepe del vecchio Matt.»

«Mi troverai pronto con una cazzuta cesoia dal manico rosso e con una maledetta voglia di potare la siepe. Per festeggiare questa nostra comune decisione, che ne diresti di prenderci a cazzotti in bocca. Sento un fottutissimo prurito alle mani.»

«Ottima idea! Però, prima, lasciami scolare un’altra bottiglia di whisky, per avere la carica.»

«Dacci sotto, George! Io intanto mi scolo un’altra decina di lattine di birra. Vedrai che epica scazzottata ne verrà fuori.»

Di lì a poco Jack e George, per sgranchirsi un po’ le membra, presero a darsi cazzottoni in bocca, uno solo dei quali in Spagna avrebbe atterrato sei tori Miura, in Norvegia una mandria di renne maschi nella stagione degli amori, in Zaire il maschio dominante di un gruppo di gorilla di montagna e in Cina tre chilometri di Muraglia Cinese. Ma, all’ombra dei Monti Appalachi, ben altro ci vuole che tutti i cazzotti sferrati da Mike Tyson nelle sue oltre 50 vittorie sul ring per guastare il buon umore ai bisonti americani.

Il giorno dopo, all’alba Jack e George, tutti e due con qualche cerotto al mento per le conseguenze della scazzottata, bussarono alla porta del vecchio Matt. Bussarono più di una volta. Non avendo risposta, alla fine sfondarono i vetri di una finestra a piano terra. Contemporaneamente partiva dall’interno una fucilata calibro 98 che, fallendo il doppio bersaglio umano, sradicava una vecchia quercia nel cortile.

«Hai sentito Jack? Questo è il tuono del glorioso Winchester “Little Big Horn” Rifle 98. Il prossimo 4 luglio ne regalerò uno al mio nipotino Reddy per il suo decimo compleanno. Il mio nipotino Reddy si è mostrato cazzuto fin dalla nascita: non è una bella idea quella di nascere proprio il 4 luglio?»

«Hei, Matt. Vecchio bastardo! Così si accolgono gli amici che vengono a darti una mano con la tua fottutissima siepe del tuo fottuto giardino?» urlò Jack rivolto verso il punto da dove era partita la fucilata.

Lentamente e con la circospezione di due marines, uno a cavalcioni sulle spalle dell’altro, in azione di rastrellamento in un villaggio vietcong, vennero fuori due metri e zero cinque di negro più nero della notte del famoso black out di New York; quei due metri e zero cinque di grizzly nero imbracciavano e puntavano contro Jack e George un grosso fucile o, se si preferisce, un piccolo cannone da 106 senza rinculo controcarro: il glorioso Winchester “Little Big Horn” Rifle 98.

«Che cazzo venite a rompere i coglioni alle prime fottutissime luci dell’alba, voi due?»

«George, ma quello non è Matt! Matt non vive da solo come un cane pidocchioso?»

«Mah. Si sarà fatto lo schiavo negro a guardia del corpo. Lui si può permettere di comprare uno schiavo con quel po’ po’ di pensione da eroe americano del figlio Sonny che si sbafa a spese di noi contribuenti.»

«George, ma che cazzo dici? La schiavitù è stata abolita quando abbiamo perso la gloriosa Guerra di Secessione!»

«Ehi, schiavo! – urlò George – Fa’ venire fuori con le mani alzate il vecchio Matt, presto, prima che ti lanci queste cesoie nel buco nero del tuo fottutissimo culo.»

«E chi cazzo è questo Matt? Andate a farvi fottere alla velocità del suono! Non sarete mica della polizia, voi due?»

«Ma quale polizia di questo bel paio di palle! Noi siamo amici di Matt, il padre di Sonny l’eroe medaglia d’oro al valor militare della gloriosa Guerra del Golfo!»

«Ma chi, Mattew Stevenson, quel bastardo figlio di puttana di un pappone, che Dio l’abbia in gloria? È morto dieci mesi fa.»

«Morto?»

«Morto defunto!»

Ci fu un silenzio più profondo del Gran Canyon e più esteso della Death Valley. Durò 12 secondi. Poi:

«Jack, questa montagna di carbone dice che Matt è morto.»

«Sì, e dico pure che se non sloggiate alla svelta dalla mia proprietà, vi ficco la canna di questo fucile nel vostro candido deretano, e premo il grilletto.»

«Jack, dice che preme pure il grilletto.»

«In questo caso, George, mi sembra maledettamente poco igienico rimanere ancora nei paraggi: la supposta non è stata mai la mia via terapeutica preferita.»

Nel cielo splendeva una luna pregna che sembrava voler da un momento all’altro esibirsi in un abbondante parto trigemellare.

Jack aprì la sedicesima lattina di birra, versò il liquido nel bidone dei rifiuti, stritolò la lattina come fosse di carta e la inghiottì in un sol boccone.

«Jacky, capisco bene il tuo cazzuto nervosismo.»

«George, penso che Matt non ci doveva fare il fottutissimo torto di morire prima che noi decidessimo di potargli la stramaledetta siepe. Non si comporta così un vero americano.»

George si versò nel bicchiere pieno di rocks del whisky ed ingollò il whisky, le rocks e il bicchiere con un fulmineo colpo del capo all’indietro.

«Jack, tu pensi che Matt ci abbia voluto fare un dispetto?»

«Devo confessarti, George, che questo sospetto mi va crescendo dentro come un maledetto melone della California. E quello che più mi rode le viscere è il fatto che da stanotte non dormirò più come un angioletto al pensiero che quel cazzuto bastardo di Matt è morto e noi non abbiamo fatto in tempo a dirgli tutto il bene che gli volevamo col potargli la siepe. Ah, da stanotte farò proprio dei brutti sogni, George.»

«Da stanotte non farai brutti sogni, Jack, perché tu adesso vai a prendere la tua Holy Bible e noi pregheremo per Matt tutta la notte e gli faremo così il servizio funebre.»

«Puoi giurarlo, George.»

E mentre George e Jack recitavano … polvere alla polvere … il Signore dà, il Signore toglie, sia benedetto il cazzuto nome del Signore, uno sciacallo ululò alla luna e alle sue tre lunette che il fottuto satellite aveva appena partorito, seminascosto da una bruna nuvoletta.

Quando mi piaceva scrivere raccontini

Lo scrissi nel 1992 quando l’arrotino non arrivava in auto e non gridava: “Donne! è arrivato l’arrotino!” Aveva una “Vespa” sgangherata e gridava solo: “Arrotino!”. Ovviamente allora c’era ancora la lira e 10.000 lire erano una bella sommetta. Indovina qual era il titolo. Esatto: era proprio

L’arrotino

«Non c’è un paio di forbici in grado di tagliare qualcosa» aveva detto mia moglie, mentre era intenta a cercare di tagliare non so che cosa.

«Si dovranno portare ad affilare» – risposi, tanto per non far cadere nel nulla una lamentela. Sapevo benissimo che avrei sempre dimenticato di portare ad affilare un paio di forbici; al massimo avrei potuto ricordarmi, passando davanti ad una coltelleria, di comprarne un paio nuovo. Tuttavia avrei potuto far nascere una polemica su chi avesse il compito di provvedere in casa a mantenere sempre tagliente il filo di un paio di forbici; ma era domenica e lei stava per uscire: non era il caso di polemizzare.

“Non c’è un paio di forbici in grado…” Era una frase, dopotutto, detta distrattamente, appena un mugolio volto ad esprimere il malumore prodotto dal fatto di dover uscire in una calda mattinata di fine giugno per adempiere una formalità, una visita o qualcosa di simile, comunque un’incombenza non proprio gradita.

Ed io avevo risposto solo perché non amo ignorare le lamentele, da qualunque parte esse provengano. Troppi si lamentano inascoltati di troppe cose, in questo nostro mondo. Sono portato per carattere a cercare, in questi casi, almeno una parola consolatoria. E a questo voleva servire la mia risposta.

Di lì a poco, mia moglie usciva di casa; i ragazzi erano già fuori. Rimasi solo, ciò che, per la verità, mi procurava tutt’altro che fastidio. Mi dedicai, in quella mattinata domenicale, ad attività oziose.

Improvvisamente un altoparlante gracchiò nel viale.

– Arrotino! –

Mi precipitai al balcone.

Già si accingeva ad andarsene lungo il viale cieco, giù per la discesa, a cavallo di una “Vespa” rossa e malandata.

Per richiamare la sua attenzione fui costretto a sfoderare una serie di potenti fischi, sistema a cui, confesso, mi ripugna ricorrere, a causa di pregresse inibizioni materne tuttora operanti. Ma è l’unico suono che, per il suo timbro acuto, riesce a bucare e quindi ad aver ragione del compatto muro acustico presente intorno a noi e che si oppone alle comunicazioni umane a una certa distanza. Anche nel traffico più caotico, quando i motori esprimono in modo parossistico la loro condizione di epilettici, solo il suono acuto di un fischio riesce a farsi strada e a raggiungere, quale disperato ed estremo richiamo, i timpani della persona a cui è diretto.

L’arrotino si girò più volte intorno. Un bambino gli indicò il mio balcone al terzo piano da cui proveniva il concitato appello. Mi vide. Manovrò il mezzo per effettuare l’inversione.

A gesti gli confermai che avevo bisogno della sua opera. Poi corsi freneticamente per la casa in cerca di forbici e forbicine: ne trovai tre. Mi sembrò un po’ poco per avere la pretesa di infliggere un duro colpo alla rassegnazione di quel giovanotto che sembrava lanciare i suoi richiami senza aspettarsi che avessero un esito: gridava arrotino! e continuava per la sua strada, come se tutto il suo lavoro si esaurisse in quel grido.

Integrai il materiale con alcuni coltelli che ero sempre restio a mantenere affilatissimi a causa della presenza in casa di due maldestri adolescenti. Misi tutto nel paniere e calai.

Era un giovane di colorito scuro, con folti capelli neri e ricciuti, un tipo da extracomunitario, sicuramente da paese sottosviluppato, con vestiti che richiamavano alla memoria più la figura di uno spazzacamino che quella di un arrotino.

Il motore della “Vespa”, opportunamente collegato ad una mola, provvedeva a far girare quest’ultima. Un fascio di vecchi ombrelli era strettamente legato tra il sellino della motoretta e il marchingegno affilalame. Rimasi al balcone ad osservarlo, mentre, con gesti canonici, patrimonio comune agli arrotini di tutti i tempi, appoggiava le forbicine alla ruota che mandava scintille visibili anche in quella luminosa mattinata di fine giugno.

L’arrotino.

Quando ero ragazzo, si serviva di una bicicletta come mezzo di trasporto e strumento di lavoro. Allora era la forza delle gambe che si trasformava nel moto rotatorio conferito alla ruota, grazie ai pedali della bicicletta. Ora invece il moto veniva conferito direttamente rotatorio dal motore della “Vespa” e così veniva trasmesso con l’ausilio di una cinghia, alla mola. Questa la differenza. Anche l’arrotino, grazie alla tecnologia, non si stancava più e non tornava più a casa con le gambe che gli dolevano. Ora anch’egli si era motorizzato ed anch’egli era portato ad accumulare qualche cellula di colesterolo in più nelle vene.

Ma, quanti ne erano rimasti in giro?

Ecco un altro mestiere che era ormai scomparso, morto di morte violenta, ucciso come tanti suoi fratelli dal consumismo: il coltello non si affila più, lo si sostituisce con uno nuovo. Talvolta veniva rievocato come in una seduta spiritica e lo si vedeva aggirarsi per le strade, specie la domenica, nella persona di chi sapeva che una morte violenta lascia un vuoto molto più profondo ed incolmabile di una morte naturale. Avendo a portata di mano un arrotino, un giovanotto che si industria in qualche modo per guadagnarsi onestamente una somma di danaro, si preferisce affidare a lui il lavoro, anziché far affluire ulteriore moneta nella cassa di una ben fornita coltelleria.

“Quanto prenderà, pensavo, per sei coltelli col manico di plastica, nuovi lire cinquecento l’uno, e tre forbicine, nuove non più di lire mille ciascuna?

Se è un espatriato da paesi sottosviluppati, sparerà grosso. Mi guarderò bene dal pagarlo se non dopo aver adeguatamente modificato il prezzo.

Mi fece cenno che aveva terminato l’opera. A gesti, gli chiesi quanto volesse.

«Diecimila». Era un espatriato extracomunitario, sia per lo strano accento e sia per l’evidente abitudine a sparare.

«Diecimila?» faccio. «Ma se nuovi costano di meno!»

Sono certo che non capì il senso delle mie parole, ma aveva capito che mi ero ribellato al botto.

Disse qualcosa che non capii, certo qualcosa che diceva a tutti i clienti che immancabilmente sussultavano al suo sparo.

Gli feci un perentorio cenno con la mano: cinque. Non replicò in alcun modo, né smise la sua aria rassegnata, come fosse fin troppo aduso a quel rituale castrante. Calai il paniere con la banconota da cinquemila, l’afferrò, la mise in tasca dopo averle dato uno sguardo fugace e depose, con fare non proprio delicato, forbici e coltelli nel paniere. Ritirai quest’ultimo rapidamente, ne riposi il contenuto e ritornai al balcone, svelto per vederlo partire. Ma aveva espletato la trasformazione del marchingegno affilalame in mezzo di locomozione ed era già giunto in fondo al viale.

Ritornai alle mie oziose attività domenicali. Intanto pensavo che qualcosa avevo pur risparmiato; innanzitutto il fastidio di portarmi dietro forbici e coltelli per farli affilare e avevo sicuramente risparmiato anche sulla spesa. Ma subito dopo, richiamando alla mente l’aria di rassegnazione che spirava da ogni movenza dell’arrotino, la sua condizione di esule, alla fine mi pentii di avergli dimezzato la somma richiesta. Di domenica, in un paese straniero, a cavallo di una vespa… il caldo… il prezzo del carburante… Però la somma era esagerata… diecimila lire… Ma non mi sarei certamente rovinato se gliele avessi date tutte… Mia moglie poi mi avrebbe ancora una volta rimproverato per la mia incapacità di contrattare prezzi a qualsiasi livello.

Dopo tutto non è colpa mia se sei nato in un paese sottosviluppato, se sei espatriato in un paese non certamente sovrasviluppato, se sei un arrotino, se lavori di domenica, se sei un disgraziato. Non è colpa mia … o no?

Proclamazione

La palma della vittoria del 3° Torneo di giochini enigmatici va a

FRANCAMARIA GAGLIONE

abile solutrice di rompicapi linguistici e di varia natura. Complimenti vivissimi alla vincitrice a cui va in premio un libro a sua scelta.

Le ha a lungo tenuto testa un agguerrito gruppetto tra i quali si sono distinti i partecipanti i cui nomi al post precedente.

Ringrazio vivamente tutti quanti hanno preso parte attiva o anche solo seguito da lontano l’andamento del torneo. Al prossimo.

Per il Comitato Organizzatore

Io

3° Torneo di giochi enigmatici – Punteggio finale

Dopo accurati conteggi e riconteggi, tale risulta essere il punteggio finale dopo la 16sima settimana e il superamento da parte di alcuni partecipanti della soglia dei 500 punti.

Francamaria 550 – Raffaella 541 – Maria 540 – Neda 539 – Carlo 539 – Paola 509 – Gli altri sono giunti a ridosso dei 500 punti.

Se c’è chi abbia da obiettare, parli (qui sotto) adesso o taccia per sempre.

16a domenica

Fai quest’ultimo sforzo, dai!

Questa la graduatoria in punti a tutt’oggi, tranne errori od omissioni. Si accettano reclami.

Francamaria 492 – Raffaella 488 — Maria 486 – Neda 486 – Carlo 489 – Paola 454 – Angela 412 – Gian Paolo (zappora) 354 – Alianorah 347

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17° giochino

Zip – Trova la parola al centro – trattino tra parentesi tonde – che abbia un legame logico con le altre due. 5 punti per ogni risposta esatta. 4 punti se la risposta è logica ma non è la mia. Aiutino meno 2 punti

1) TAVOLA (-) UNA)

2) CUOCO (-) PUGILI

3) BUFFONE ( – ) APPELLO

4) ERPETOLOGO (-) SUB

5) ACHILLE (-) PALESTRATO

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18° giochino – Miscellanea

In ciascuna frase ci sono gli indizi per individuare la risposta. 5 punti ad ogni risposta esatta. 4 punti se la risposta è valida ma non è la mia. Un punto in meno per ogni aiutino.

a) Un uomo di colore inglese e la sorella della mamma… la praticano.

b) Di che cosa parlerebbero Alessandro Manzoni e un cacciatore di grosse prede?

c) Una doppia decina di bulbi anti Vlad.

d) Se hai fortuna puoi vederli su una marina della Bolivia e del Paraguay.

e) Un pezzo di legno da camino dei tempi di Virgilio

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18° bis e ter – Due miei rascconti brevi ai quali dare un titolo a doppio senso. 5 punti per ogni risposta esatta, 4 punti se ne dai una tua ma che sia logica e intelligente. 2 punti in meno per ogni aiutino.

Bis) È bassina ma è più dura di una roccia

Ter) Faccio da cicerone ai fantini

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Tutto ciò che ha un inizio ha una fine. E con questo ti ringrazio e ti saluto.

15a domenica

Siamo agli sgoccioli.

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29° quesito – Come l’Eredità

Qui di seguito sono elencate sette parole. Ma solo cinque rappresentano gli indizi per giungere ad una sesta parola sulla falsariga della Ghigliottina della nota trasmissione di RAI 1. Tu devi individuare le due parole intruse e la sesta che fa da fil rouge alle cinque, Il gioco vale 2 punti. Aiutino (le due parole spurie) meno 1 punto. Errore -1

CAPPUCCIO – PALLINA – FUORI – OCA – CHITARRA – DANZA – OTTICA

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30° rompicapo – Strani incontri – Se si incontrassero un cantante e un giocatore di bigliardo parlerebbero di stecche; ma di cosa parlerebbero se si incontrassero

a)) un allevatore ittico e un becchino di giganteschi defunti

b) Freud e un chitarrista

c) un ladro e un fabbricante di piccoli fuochi d’artificio

d) un esercente di un grosso caffè e Snoopy

e) un editore e un gioielliere

Ogni risposta esatta vale 1 punto. L’errore brucia il quesito.

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30 bis – Il mio romanzo breve a cui dare un titolo a doppio senso. 2 punti alla risposta esatta. Aiutino o errore 1 punto in meno.

Il cameriere, dopo gli spaghetti al sugo, mi portò una fettina di carne non più grande di una moneta da due euro.

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I punteggi si assottigliano: “c’è grossa crisi” (come diceva Quelo). Insomma, sono finite le vacche grasse.

14a domenica

Quando il gioco si fa duro…

27a prova – Scatena le catene – Qui trovi 40 anelli che appartengono a due catene distinte di 20 anelli ciascuna.

VENTILATORE – SPALLE – GIORNALISTI – BARO – TRASTEVERINI – FURTO – SARDI – ARBORE – SOTTRAZIONE – VENTO –RENZO – POSTA– SORDI – ALBORE – EOLICHE – PRIORITARIA – MENO – PALE– ANCHISE– DOMANI – INTERVISTARE – LENTO – URTO – OGLIASTRINI – ALBERO – BORA – ROMANI – TASCHINO – ENEA – ALBERTO – PASTO – SCHIANTO – ONORATI -VELOCE – SCHIENA – PALLE – RENO – ELICHE – CALDO – TROIANO

Devi formare le due catene secondo le solite regole che ti vengono ricordate in basso. Non ti vengono date né le parole iniziali delle due catene né quelle finali. Se ci riesci senza aiutini, guadagni 15 punti; per aiutino ti verrebbe data una delle parole iniziali o finale per un punto in meno. Le quattro parole (due iniziali e due finali) ti penalizzerebbero di 5 punti.

1 – L’anagramma della parola che la precede [ES: insalata – analista]
2 – Può essere un sinonimo o un contrario della parola che la precede [ES: brutto – bello]
3 – La si può ottenere aggiungendo o togliendo o cambiando una lettera dalla parola che la precede [ES: consiglio – coniglio]
4 – Può trovarsi unita alla parola precedente in un detto, in una similitudine, in una metafora o per associazione d’idee [ES: parabola – Gesù; verde – invidia]
5 – Può formare, unita alla precedente, il nome di una persona celebre o di un luogo famoso reale o immaginario [ES: giardini – Babilonia; Adriano – Celentano]
6 – Può trovarsi associata alla parola precedente nel titolo o nella trama di un libro, di un lavoro letterario o teatrale, oppure di altri componimenti celebri di qualsiasi genere [ES: mago – OZ:

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28 prova – Il mio romanzo breve a cui dare un titolo a doppio senso. vale 5 punti. Meno 2 punti per un aiutino.

Seduti al bar – Cameriere, porti latte e caffè per tutti.

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Puoi ancora votare tramite email per i sonetti del post precedente, se non lo hai ancora fatto.

Buona domenica

Vota il sonetto

Ecco i sonetti di quanti hanno voluto partecipare alla gara. Possono votare tutti quelli che hanno partecipato e chiunque altro si trovi a passare per questi post inviando la preferenza per posta a

guisito@libero.it

citando il numero del sonetto o il primo verso. Al sonetto più votato 10 punti, al secondo 8 punti e al terzo 6 punti; ai rimanenti 5 punti. Naturalmente il partecipante non può votare per il suo sonetto.

I sonetti in gara

1. In questi tempi luditurpi, crapi,

ci crampano nei fianchi, sulle spalle,

grognuti, smugni, allettuti, spapi,

figli di tarpagne e di frigalle,

che sbregano, sbifernano la legge,

smandrucano, s’imbrucano timpando,

carpigiano, smalventano. Gregge

forse noi siamo? Orbesto io mando

a quel paese ballozzi, scogi, trufi,

contussati e tutti gli smorfanti.

Vorrei nuovo controllo: non più smufi,

non più sbreloni chicchiriccanti.

Cerchiamo insieme nuovi allufi

e drufi e piagili adugnanti.

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2. Il limusto

S’imbrugola, sbrufando, nell’ompisco,

brudoso, si pirogula nel murbo

e, criscolando, blamina il sutisco,

gralino incrivulandosi col durgo .

Mai scurfo dell’enomica liscura,

ne trigola, pudrando, le solgate

e, frando trazio, snigola pilura

e gurfo s’insugarda nel pulate.

Ah, non s’arbunda l’imolo limusto,

non serbida l’anghito belonare,

né scurfola l’imorico glisusto.

Fumbando con vidarico gludare,

prigola sul minodico filusto,

schiugando il digenico zulare

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3. Il furro e lo sfurro

Un luccio sguiscettava nel galetto,

quand’ecco che, su un virdo gallerino,

un bruco, da una milla, urrì dasfetto.

– Che pratto! – mince il luccio, – ho paltino!

Il bruco, ch’era furro e pur coratto,

mince slimpo e gli besca: – Non polparmi!

D’accosso c’è un pescione molto pratto,

che fiesco non torle a zimborbarmi! –

Il luccio mince zonte, e infin parrella:

– Pratto è il bruco, ma un pesce è pure fressa! –

Nel mentre, il furro bruco s’ingabella.

Dal gabelo sormisce una vanessa,

che l’ali dolza e risca quant’è bella.

Lo sfurro luccio, col paltino, s’inabissa.

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4. Legìe lambardine

Il dì da poco s’è ormai vellato
e l’aurora già monélica lanno,
mentre il cielo si lembra lissato,
si liva lendere rosa limanno.

Mi fan chiano, per non dire tredelle,
ch’ancora sìffano nelle sfrandine,
ormai vornan a vedere le ghelle,
come silenti legìe lambardine.

Mai le ho vardate così fernùte,
già son discìta a non tredulare,
ché non le avevo descorosciute.

Se conterìsto, mi possan sirare,
vorrei carere se già son chilùte,
ché sertalente potrò garigliare.

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5. La scacchera bitonta m’impapera

Il cronottero implacato ratta

Sto immosso chè temo l’attacchera,

M’infingherà traversa la regnatta?

Il mio rivaldo sfogga la baldanza

Penta lesto, fischettando sbottega

Il mio piedone che trullo avanza

E moto pesta del crono la tega

Sguatta e sghignatta il rivaldo stono

Non m’accoppo del tempo che svagona

Spremo le minenti ma sto rincono

Non so struttare una mossa lona

Che sparacchi di matto ‘sto re chiono,

Anche tordì mi becco la scottona

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6. La notte flisca lenta sulle scocchie

e le stelle spirillano nel fusco.

Titticchia l’acqua brizza nelle frocchie,

Ronfecchia il gnaulo steso sul morbusco.

Molca sale la luna argentalente,

Sfranzilla la campagna alluccamata.

S’affonca poi nell’albeo lumente

Saluta il sole e slampa, indolecchiata.

Tra i frilli che zinzingano nel nero

S’aurecchia una mielante voce lieve

Come strofeggio orientico e leggero

Si plafagna tra i flatti al par di neve

Si smollenta sul piccolo nanniero

E ammansiglia il suo sonno, come preve. 

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7 – Mentre la birta s’incacippa e dutta,

la mansadrana sbitta a tutta derra,

silenziosa druna, berotta sutta

nel vano antaso dell’ asnata terra.

Ahi, surta musa e destaruta ambesca!

Chi ti compuserà la rotta avalla?

Chi il disavello ibanto ti ridesca

quando sarai archita spalla a spalla?

Ritroveremo forse anchiato bene?

E il tùgalo sberà del buglio antico?

No! Recustarà forse il vecchio orsene,

ma l’enfarmo amoroso andrà sperdène,

il bosto samo affonderà sensico

e verde il cosco abroderà mordène.

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