Adamo

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Io che vuol dire io…sento mi sento mi avverto… un vento caldo un soffio mi sfiora il viso mi entra nelle narici qualcosa mi ordina di aprire gli occhi ma io ho la sensazione che farei bene a non aprirli ad aprirli sento che niente di buono me ne verrà sarebbero guai a venire c’è questo tum tum che inizia a battere nel petto… cuore… io ho un cuore… un ordine interiore mi comanda di vivere cos’ero poco fa dovevo stare bene com’ero se adesso mi sento male e altro soffio caldo nelle narici no non apro gli occhi ma l’ordine è troppo imperioso li apro un attimo e li richiudo subito perché una luce violenta mi trafigge il cervello… dovevo essere polvere prima se sale odore di polvere alle narici… mi duole il capo io sto pensando e la cosa mi dà un terribile mal di testa voglio ritornare ciò che ero prima cos’ero forse polvere e stavo bene e adesso cosa sono… e sto male… mi sembra che mi sia stata fatta violenza in qualche modo… intorno a me avverto il vuoto cadrò nel vuoto eppure pare che qualcosa mi sostenga… mi regge mi tiene fermo sono disteso a terra sento l’erba umida sotto la schiena dunque qualcosa ha cambiato il mio stato di non esistenza e in cosa mi ha cambiato sento che prima non ero ed ora sono e che vuol dire perché sono stato costretto ad essere e che cosa sono e chi mi dice che non devo pormi di tali domande che ho il dovere di essere e basta… mi dolgono le ossa e ho brividi per tutto il corpo ma perché mi è stato fatto questo io non sapevo di non essere ed ora so di essere ma non so cosa sono

«Adamo sei. Sei carne, sei vita. Io ti ho fatto dono della vita e ti ho dato un nome. Apri gli occhi!»

questa voce non viene dal mio interno viene dall’alto una voce dura che non mi piace… mi fa dono della vita ma io non ho chiesto alcun dono questo dono mi fa male e mi viene voglia di dire che non volevo nessun dono

«Apri gli occhi e alzati, Adamo! Io sono il Signore tuo Dio. Io ti ho fatto a mia immagine e somiglianza. Tu eri polvere della terra ed io della polvere ho fatto carne, ho dato palpito di vita a vile materia inerte. Tu sei la mia creatura. Ti ho fatto per la mia gloria. Tu spenderai i tuoi giorni a glorificarmi. Io ho piantato un giardino in Eden a oriente e tu dominerai su tutti i pesci e sugli uccelli del cielo, sugli animali domestici, su tutte le fiere e sopra tutti i rettili che strisciano sulla terra. Io farò germogliare dalla terra ogni erba e ogni albero fruttifero e di piacevole aspetto. Ecco, io ti do ogni pianta che fa seme su tutta la superficie terrena e ogni albero fruttifero che fa seme e di questi tu ti ciberai e si ciberà di questi ogni essere che ha in sé anima vivente. Io ti darò acqua per irrigare i campi e tu coltiverai il suolo e farai salire l’acqua dai canali che io riempirò di pioggia. Io farò nascere un fiume in Eden che irrigherà tutto il giardino. Io ti porrò in questo giardino che tu coltiverai e custodirai. Tu potrai mangiare liberamente di ogni albero del giardino, ma dell’albero della conoscenza del bene e del male non mangerai, perché il giorno che tu ne mangiassi, moriresti.»

io ti dono io farò io ti do io non ci capisco niente e ho sempre più forte la sensazione che stavo meglio prima qualunque cosa io fossi o non fossi

«Apri gli occhi, dunque. Guardati intorno. Sei nel Paradiso terrestre. Vedrai le meraviglie di cui ti ho circondato. Guarda che poema è un albero. Non è dramma il contorcersi del tronco di quell’ulivo che si protende di tra le rocce arse dal sole? È danza l’agitarsi al lieve vento dell’elegante cipresso. E la fioritura del ciliegio non è lirismo puro? A quelle candide nuvole nel cielo potrai ispirarti per raccontarti fiabe fanciulle, e quando avrai voglia di struggimenti ci saranno i tramonti sul mare, e di notte il cielo trapunto di stelle ti parlerà della mia potente benevolenza. Io ti condurrò tutti gli animali della campagna e tutti gli uccelli del cielo e tu darai loro un nome e quello sarà il loro nome. Apri gli occhi. È il tuo Dio che te lo ordina!»

io non apro gli occhi sì io apro gli occhi va bene piano però perché mi fa male aprirli… li apro e li richiudo e li riapro e c’è troppa luce ma mi vado abituando abbi pazienza Signore sono appena nato riesco a tenerli aperti sempre più a lungo ma è nebbia quella che mi circonda una nebbia luminescente azzurrina le immagini si vanno schiarendo… mi alzo sui piedi barcollo e le palme dei piedi a poggiarle sul terreno mi dolgono è spaventoso ciò che mi circonda forme animali mal distinguibili mostruose che si muovono vedo verde intorno e azzurro se alzo il capo un’azzurrità immensa che mi sgomenta ho paura ho bisogno del buio Signore aiutami Signore muovo i primi passi ma tutto mi spaventa ho bisogno dell’ombra provo a correre verso una macchia buia è l’ingresso di una caverna cado mi rialzo corro inciampo guadagno il fondo della grotta respiro a fatica qui va un po’ meglio ma Signore riportami allo stato in cui ero prima di nascere questo luogo non è adatto a me mi procura malessere io stavo meglio quando non ero o forse non stavo per niente ma non soffrivo Signore perché mi hai fatto questo scherzo Signore rispondimi ti prego

Devo essermi addormentato. Un sonno ristoratore davvero, perché mi sento rasserenato. Non ho più desiderio del buio. Esco alla luce senza che ciò mi rechi fastidio di sorta. L’aria che respiro ha un sapore nuovo, me ne riempio a fondo i polmoni a più riprese. Mi guardo il corpo e trovo belle le braccia e le gambe ed anche il petto e sento che posso dominare e farmi obbedire da ogni organo del mio corpo. Trovo utili le mani con cui posso strappare l’erba dal terreno e i frutti dai rami. Posso alzarmi sulle punte dei piedi a cogliere dai rami più alti. Sono stato fatto bene e mi sento bene e ho voglia di specchiarmi in uno stagno per conoscermi meglio.

Intorno alberi e piante e zolle di terra e fiori, tutto sprigiona una forza vitale che mi infonde vigore e gioia di vivere.

Intanto all’imboccatura della grotta si vanno radunando numerosi animali, molti di essi piacevoli a vedersi, eleganti nelle movenze. Dal dolce canto alcuni uccelli. Di vistosi colori alcuni insetti volanti. Esco dalla caverna e la luce non mi ferisce più gli occhi come prima. Posso guardare la vastità del cielo azzurro senza sgomento. Il petto mi si riempie di aria profumata. Intorno splendono colori che rallegrano gli occhi e danno gioia. La vasta pianura davanti alla grotta è tutta un rigoglio di alberi carichi di gemme e piante ricche di fiori. C’è armonia di forme e di colori dappertutto. È davvero un paradiso.

Gli animali si appressano all’ingresso della grotta e mi circondano, qualcuno mi si struscia alle gambe. Tutti mostrano negli occhi il desiderio di essere chiamati, vogliono che dia loro un nome. Mi è stato ordinato di dare loro un nome. A che serve un nome? Vediamo. Cane, tu ti chiamerai cane. Cane, vieni qua. Mi si avvicina una torma di animali l’uno un po’ dissimile dall’altro ma con delle caratteristiche comuni. Abbaiano tutti allo stesso modo, più o meno, latrano, uggiolano, guaiscono, agitano la coda, mi leccano le mani, le gambe, qualcuno si alza sulle zampe di dietro e giunge fino a leccarmi il viso; tutti lo fanno festosamente. Mi piacciono queste loro attestazioni di affettuoso servilismo. Allora do nome al cavallo ed uno di essi tutto nero con una stella bianca in fronte si offre di prendermi in groppa. Da oggi in poi tu sarai asino e tu capra e tu, vediamo, sì, coniglio.

È sera e avrò dato il nome a più di un migliaio di specie animali, ma ci sono gli uccelli a cui devo dare un nome e sono di infinite specie diverse, e poi gli insetti e i rettili e i pesci del fiume e del mare, e sono così diversi gli uni dagli altri che non posso dare a tutti lo stesso nome. Adesso però sono stanco, vado a dormire, ne riparleremo domani.

Appena spunta il sole vengo svegliato da un’ondata di muggiti, belati, cinguetii, squittii, sibili, barriti, ululati, ruggiti, bramiti, gracidii, gracchii, e richiami bestiali delle più svariate tonalità e altezza. Mi affaccio alla caverna e vedo la pianura invasa da un oceano di bestie di migliaia di razze. L’aria è densa di voli d’insetti e più in alto volano stormi di uccelli così compatti da oscurare il sole. E tutti sono lì perché aspettano che io dia loro un nome. E sono tutti miei. Il Signore mio Padre me li ha dati. Posso farne ciò che voglio. E devo dare loro un nome. Ma io come faccio a dare un nome a questa miriade di animali? Signore, come faccio? Padre rispondimi. Ma anche se la voce mi rispondesse, io non la sentirei, sopraffatta come sarebbe dal frastuono che fanno gli animali. Tacete, chetatevi! Adesso darò il nome a ciascuno di voi, ma smettetela di muggire! I muggiti si estinguono. E di ruggire. Anche i ruggiti si assopiscono. E i belati. E i guaiti. E i bramiti. Mi obbediscono. Lascio in vita solo il canto degli usignoli. Così si lavora meglio.

È trascorsa una settimana. Sono esausto. Non posso stare qui dall’alba al tramonto a dare nomi. E poi ci sono anche le bestie notturne che vengono a disturbare il sonno e vorrebbero che io lavorassi anche di notte. E ci vuole il bello e il buono per far capire loro che avranno un nome quando avrò preso l’abitudine di dormire di giorno e vegliare di notte.

È trascorsa un’altra settimana e sono a pezzi, non connetto più col cervello. Ho invocato il Signore mio Dio più di una volta, ma non mi risponde. Mi ha dato davvero un compito estenuante. Cosa posso fare? Nascondermi. Ecco, sì. Non farmi più trovare almeno per una settimana. Avrò pure diritto a un po’ di riposo ogni tanto.

«È vero, Adamo. Hai ragione! Hai diritto al riposo. Anche io mi sono riposato dopo una settimana di lavoro.» Finalmente, Signore mio Dio, mi ascolti.

«Anzi, ti dirò di più: ho pensato di crearti un aiuto. Un altro essere fatto ad immagine e somiglianza di te e di me. Non puoi stare sempre solo e soltanto con le bestie. Ti abbrutisci. Ti farò un aiuto simile a te.»

Un aiuto come uno? Uno solo? Signore, qui ce ne vogliono almeno mille di aiuti. Signore! Signore mio Dio! Niente. Un aiuto? Uno solo? Che me ne faccio di uno solo? Niente, è andato via. Io, intanto che mi fa l’aiuto, resto ancora latitante nascosto nel cavo di quest’albero, sto a vedere che tipo di aiuto mi fa. Me ne vado a dormire.

Mi sveglia un dolore lancinante al petto. Qui sul lato destro. Ahi, faccio fatica anche a respirare. Alzarmi in piedi manco a pensarci, mi sento strappare dentro. Mi trascino carponi fuori dal cavo dell’albero. Signore, cos’è questo dolore? È un male insopportabile. E cos’è quest’animale che si è venuto a sdraiare davanti al cavo dell’albero? Che strano animale! Non è ricoperto né di peli né di piume e neppure di squame. Che fa, dorme? O è morto? Avrà mica mangiato il frutto dell’albero della conoscenza del bene e del male ed è morto? Morto? E che significa?

«Non è un animale e non è morto, Adamo. Cioè, è un animale in quanto ha un’anima come l’hai tu. È in tutto simile a te. Dorme. Tra poco si sveglierà.»

Per la verità, proprio simile a me non mi pare. A mezzo il corpo le manca qualcosa e più su ha due cose che io non ho.

«Sarà la tua compagna, ti aiuterà nell’amministrare il giardino e ti farà lieti i giorni.»

Ahi, ‘sto dolore. Non posso alzarmi in piedi Signore. Striscerò per sempre come un rettile, come un verme, Signore?

«Questo dolore ed una costola è il prezzo che hai pagato per avere una compagna. Mentre dormivi, ho tratto una costola dal tuo petto e con essa ho modellato la donna che sarà tua moglie. Tra un po’ il dolore ti passerà».

Ecco, apre gli occhi. Li sbatte una, due volte. Ha ciglia lunghe. Li apre infine e li tiene aperti con decisione. Sorride. Si alza in piedi, neppure barcolla, neanche un po’. Cammina come se avesse camminato da sempre. Va verso la pianura. Rimane un po’ ferma a guardarsi intorno. Un uccello le si posa sulla mano che lei ha alzato quasi a chiamarlo e sembra che si parlino. Sembra che si conoscano da tempo. Si gira e viene verso di me sorridendo. Ha un incedere fiero ed elegante. La sua femminilità è partecipe della natura ed è fertilità in potenza come la natura intorno lo è in essenza.

I suoi piedi si poggiano su un terreno contento di ogni suo passo. Ma è nata poco fa o è stata sempre in questo giardino? Forse è stata sempre di questo giardino. Forse è questo giardino. Vi si muove con una sicurezza padrona. A pensare quello che ho passato io appena dopo natomi fa una rabbia. La picchierei. Però è bella. Ha d’oro i capelli e di cielo gli occhi. Leggiadre le movenze. Il sorriso luminoso però mi irrita. Che ha da sorridere? Sorride a me o piuttosto all’essere viva? Mi giunge vicino e mi tende una mano. Mi aiuta ad alzarmi ed io mi alzo col suo aiuto, senza avvertire più alcun dolore al petto. Mi fissa gli occhi negli occhi. Mi sorride un sorriso complice? o possessivo? o materno? Io non ho madre, forse padre sì, ma madre no. Non vedi che non ho l’ombelico? Mentre tu, anche se non hai l’ombelico, hai carne della mia carne. Sei fatta di me. Io vengo dalla terra e non devo niente a nessuno se non al Signore mio Dio che mi ha fatto, e se mi ha fatto è perché ha bisogno di me e mi deve riconoscenza. Il Signore ti ha fatto dalle ossa del mio corpo, ma neppure aveva bisogno di te, ti ha fatta perché ha pensato che io avessi bisogno di te, ma io non ho bisogno di te. Io sto bene da solo e quando avrò finito il mio lavoro mi godrò le ore e i giorni nel dolce vivere libero immerso nella natura di questo rigoglioso giardino. Credi di farmi cosa tua? Tu sei nata da me e il Signore mio Dio ti ha data a me come cosa mia. Penso e non so altro che tacere. Una volta in piedi, le spingo via nervosamente la mano dalla mia. Cosa crede, che avevo bisogno di lei? Signore, è questo l’aiuto che mi hai fatto? Che me ne faccio di un aiuto così delicato? Per come è fatta, si stancherà presto. Che vuol dire che sarà mia moglie? Mi sembra che me l’hai data per farmi stregare da lei. Non vedi che il suo sorriso tenta di soggiogarmi? Sento che mi farà la guerra. Non capisco se vuole essermi amica o nemica. Mi complica la vita. Mi hai dato un aiuto o un problema in più? Non vedi che cerca di togliermi le forze? Ho il presentimento che mi prosciugherà. Sì, le leggo sul volto il desiderio di bermi, come fossi pura acqua di fonte. Mi hai dato una compagna o mi hai messo accanto un demone? Signore, che cosa mi hai dato? Io non so che farmene.

«Vedo che ti piace, Adamo, perché ti ha sconvolto e ciò è buono. Sì, mi è riuscita proprio bene, meglio di te. Ne facessi un altro, mi riuscirebbe ancora meglio; ma farne altri è compito che affido a voi due. Questo è nel mio progetto. Adamo, non essere stupido. Restale accanto e saprai presto cosa dovrai essere per lei e cosa sarà lei per te. Lei ti aiuterà a capirlo. Ma non lasciarti soggiogare, devi essere tu a soggiogarla. Imparerete ad essere insieme una sola carne. Sia l’amore a guidare i vostri passi, i vostri corpi e le vostre anime siano strumenti capaci di fondersi in un’armonia celestiale che si innalzerà nei cieli come un inno di gloria al creato. Comincia con l’imporle il nome. Fai in modo che con quel nome pronunciato da te con voce imperiosa lei si volti e ti venga vicino a prendere conto dei tuoi desideri. Sappi essere uomo, Adamo, e lei ti sarà donna e femmina, madre e sorella, schiava e padrona. Dipenderà da te se vorrai che sia angelo oppure demone. Io te l’affido e a lei ti affido perché popoliate di uomini questo giardino che sarà il vostro Paradiso. E tu parlale dell’albero della conoscenza del bene e del male e se saprai farti amare da lei, amare ed obbedire, vivrete in eterno in questo Eden. Attenti al frutto dell’albero della conoscenza del bene e del male. Ricorda: quel frutto mangiarlo sarebbe la fine di tutto, il ritorno alla polvere, il nero eterno. Comincia ad imporle il nome e lei comincerà a capire che sei il suo signore».

Signore, il tuo dire mi confonde, ho nella testa un marasma… troppo meschino il mio cervello per penetrare il senso del tuo progetto. Come potrò dominarla se solo con lo sguardo mi sconvolge l’anima. Io il suo signore? Signore mio Dio, aspetta, non andare via. Stammi ancora d’accanto, almeno finché non avrò forgiato in me gli strumenti per difendermi da lei, per asservirla ai miei voleri. Che poi neppure so quali sono i miei voleri. Non mi lasciare in sua balìa così inerme come sono. Le calde sinuosità del suo corpo mi fanno sentire come cera al sole. Lo splendore dei suoi occhi, il corallo delle sue labbra, la turgida morbidezza del suo seno e il tepore che sprigiona dalla sommità delle sue cosce mi disorientano i battiti del cuore, mi impazziscono il corso del sangue nelle vene. Signore, non mi abbandonare, ho paura.

Devo riflettere, devo riflettere col poco pensiero che ho a disposizione. Ora vado da lei che sta seduta sotto quella quercia, vado con passo deciso… e cosa le dico? Ecco, le darò il nome, un nome brutto, il più brutto possibile, così che si senta umiliata, e quello sarà il suo nome. La chiamerò Cameloparda. No, più brutto, Panteropiteca, ecco, la chiamerò Scimpalorda, ecco, sì Scimpalorda mi sembra proprio brutto. Vediamo se riesco a spegnerle quel sorriso sulle labbra. Mi avvicino. Si alza ed assume un atteggiamento mansueto che un po’ attenua il mio desiderio di esserle ostile. Le punto il dito verso il viso e il più imperiosamente possibile quasi le urlo:

«Tu ti chiamerai… il tuo nome sarà… tu mi risponderai quando io ti chiamerò…»

«Eva» mi previene con una voce che mi accarezza il cuore.

Resto perplesso.

«Eva? Perché Eva? Da dove viene fuori questo nome? Chi te lo ha dato? Sono io che devo darti il nome!»

Attenua lo splendore del suo viso e resta in attesa.

«Tu ti chiamerai Scimpalorda!» le dico un po’ meno convinto. Dopo tutto Eva è un bel nome e le sta come rosa alla rosa e paradisea alla farfalla. Si incupisce. Poi con tono languido:

«Come tu desideri. Se vuoi storcere in modo così ridicolo la bocca, assumere un atteggiamento del volto che ti fa sembrare una scimmia nel chiamarmi, sia fatta la tua volontà. A me sarebbe piaciuto Eva. È più breve e mi porterebbe a te più lesta e bendisposta. Con quale animo, con quale desiderio di accondiscendenza, con che voglia di esaudire i tuoi voleri verrò a te sentendomi chiamare Scimpalorda? Che ti ho fatto di male per meritare un nome così? Su, non essere cattivo con me, io sarò per te tutto quello che vorrai che io sia – si avvicina al mio viso e quasi sulla bocca – Io mi sono sentita Eva fin dal primo momento che ho aperto gli occhi. Il mio nome è nato con me». Preme le sue labbra sulle mie e il profumo di fiori esotici mi riempie le nari ed è miele quello che versa nella mia bocca e che mi scende fin nel basso ventre e i suoi seni quasi mi pungono il petto e il suo ventre aderisce al mio e le sue cosce mi stringono i fianchi e mentre Eva Eva Eva le sussurro sulla bocca, in un orecchio, sul collo, sul seno, cadiamo, l’uno nell’altra, sull’erba morbida del prato.

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11 pensieri su “Adamo”

      1. In una pubblicità una suora gustava una patatina mentre altre facevano la comunione. I cattolici integralisti hanno protestato e la pubblicità è stata ritirata. Amen.

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  1. Bisogna ammettere che il capostipite non è un personaggio interamente negativo. Anche il miscredente guisito trova in lui momenti lirici e quasi simpatici. Ha fatto parecchi gravi errori, con conseguenze nefaste, ma in fondo è da compatire.

    Nel panorama televisivo, che è poi il mondo reale, trovo due personaggi, anzi forse due persone, che non mi ispirano alcuna simpatia. Uno è Calenda e l’altro è Gramellini. Un politico e un giornalista. Ho riflettuto su questa mia idiosincrasia, sicuramente dovuta a superficialità, ignoranza, invidia… Nello sforzo di giustificarmi, sono arrivato alla conclusione, davvero risibile, che qualcosa li accomuna: non hanno difetti. Non sudano, non sbagliano, “in altre parole” non sono reali.

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