‘O ciuccio ‘e Fechella

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Quando mia madre mi vedeva con un ginocchio sbucciato, conseguenza di una partita di calcio giocata sul lastricato della strada, con qualche livido su un braccio, per una parata fatta poco prima che l’attaccante avversario sferrasse il suo calcio risolutore che invece di giungere al pallone, colpiva uno dei miei avambracci che erano riusciti ad abbrancare il pallone, e in più con una brutta tosse per la sudata fatta correndo da ala destra dopo aver scontato il mio turno in porta, mi diceva:«Pare ‘o ciuccio ‘e Fechella: nuvantanove chiaje e ‘a coda fraceta.»Sembri l’asino di Fichella: novantanove piaghe e la coda marcia.

Uno che si lamenta per i suoi numerosi acciacchi di salute e ne va facendo pubblica declamazione, dalle mie parti, prima o poi rischia ancora di sentirselo dire da qualcuno non più giovincello: Pare ‘o ciuccio ‘e Fechella.

Ora io non so dire chi fosse questa Fichella, ma certamente doveva essere una contadina appartenente ad una civiltà che oggi si studia solo sui libri di storia, quella civiltà contadina dei tempi più che andati, quando il trattore era ancora di là da venire a rendere meno gravoso il lavoro dei campi e le bestie come un ciuccio erano preziosi compagni di fatica, dei quali ci si serviva fino allo stremo delle loro forze e finché avessero lo spirito vitale bastante a tirare un carretto con un po’ di verdura da vendere.

E Fichella me la immagino poverissima, tanto da non avere i soldi per pagare la pensione al suo ciuccio e quelli per comprarne un altro e quindi lo teneva al lavoro pur se la povera bestia aveva nuvantanove chiaje e ‘a coda fraceta.

Sì, questa doveva essere Fichella, pace all’anima sua.

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5 pensieri su “‘O ciuccio ‘e Fechella”

  1. Tutto mondo è paese. Dalle mie parti in una situazione analoga – la scrittura non è perfetta ma poi faccio la traduzione.

    Par al caval ad Scaia. Ha zentomil mali sotto la coda – Pare il cavallo di Scaia. Ha centomila malanni sotto la coda. Ovviamente Scaia è l’analogo di Fechella.

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  2. Subito dopo la guerra, un mio zio decorato per ferite riportate in guerra era stato assunto dal Comune come spazzino (oggi direbbero “operatore ecologico”) e oltre alla ramazza gli avevano dato un carretto a due ruote (detto “tomarell” dalle mie parti) e un asinello tanto magro che gli si contavano le costole, vecchio e bolso. L’asinello aveva la schiena ricurva verso il basso, tanto che sembrava che un grosso pescecane ne avesse sbocconcellato un bel pezzo, creando un semicerchio mancante nella povera schiena. Cosi se ne andavano insieme per il paese, ogni mattina, a raccattare i rifiuti buttati fuori dalle porte, lo zoppicante mio zio e l’ansimante e ragliante povera bestia.

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